Il corpo nudo: presenza, gesto, domanda
Spogliarsi può essere un atto liberatorio, simbolico, estetico. Ma anche disturbante, scomodo, carico di significati che oscillano tra vulnerabilità e sovraesposizione. Oggi la nudità non è mai neutra: è uno specchio che riflette ciò che la società ci ha insegnato sul corpo, il genere, il potere, la performance e il pudore.
Nel teatro e nella danza contemporanea, il corpo nudo è stato spesso usato come strumento di ricerca, di rottura, di verità. Tuttavia, l’intensità di certe esperienze ha posto interrogativi importanti: esporre la nudità è sempre necessario per accedere a un vissuto autentico? Oppure rischia di diventare un gesto vuoto, imposto, talvolta violento?
Pelle e schermo: due confini diversi
La pelle è il nostro primo confine. Ci separa e ci unisce, ci fa percepire, toccare, sentire. Ma oggi, sempre più spesso, il corpo è percepito attraverso uno schermo, che filtra, protegge, ma anche allontana. Si perde il sentire per lasciare spazio all’apparire.
Nel mondo digitale – da TikTok a Instagram – la nudità è modificata, estetizzata, spesso privata della sua dimensione sensoriale. Si guarda il corpo, ma non lo si sente. E se il corpo si muove fuori dalle coordinate del filtro estetico, può risultare disturbante. È ancora un corpo reale?
Corpi nudi, contesti diversi: arte, pornografia, contenuti online
Un corpo nudo sul palcoscenico ha un significato diverso rispetto allo stesso corpo nudo in un contenuto social, in un film pornografico o in una sessione di nudismo collettivo. Non è solo il corpo a determinare il senso, ma il contesto in cui è inserito, l’intento di chi lo espone e lo sguardo di chi osserva.
Nel teatro, la nudità può diventare una maschera di verità, un tentativo di denudare non solo la pelle, ma anche l’anima. Tuttavia, alcune pratiche performative rischiano di diventare invasive, se non c’è una reale attenzione al consenso, alla gradualità, all’ascolto dei limiti.
La falsa equazione: nudità = verità
C’è una retorica pericolosa che attraversa certi ambiti artistici e formativi: più soffri, più sei autentico. Più ti spogli, più sei vero. Ma questa equazione non tiene conto del vissuto soggettivo, del trauma, della storia individuale.
Un corpo può essere nudo, ma completamente dissociato. Oppure vestito, ma profondamente presente e vulnerabile. La vera nudità, spesso, è quella che permette di mostrarsi per ciò che si è, con fragilità, debolezze, vergogne, oscurità.
Come ricordava Grotowski: “Non si tratta di mettere l’attore a nudo, ma di svestirlo da ciò che lo nasconde a sé stesso.”
Consenso, contenimento e contesto: tre parole chiave
Quando si lavora con il corpo – che sia in ambito artistico, terapeutico, performativo o formativo – è fondamentale non forzare, non imporre, non travalicare i confini di chi partecipa. Il consenso non è solo assenza di un no, ma presenza attiva di un sì.
Il conduttore o la conduttrice ha una responsabilità importante: garantire un setting protetto, chiaro, con tempi di elaborazione, spiegazioni accessibili, possibilità di scegliere. Nessun esercizio sul corpo dovrebbe essere obbligatorio per “fare parte” o per “essere autentici”.
La nudità sociale: un’altra possibilità
All’opposto della nudità performativa o digitale, c’è la nudità sociale, come praticata nel nudismo o in contesti naturisti. Qui il corpo nudo è normalizzato, liberato dallo sguardo erotico o performativo. Si sta insieme nudi, in un contesto di rispetto, consenso, confini chiari.
In questi spazi si impara a non sessualizzare il corpo, a vederlo per ciò che è, con le sue imperfezioni, odori, forme. È una nudità che disinnesca il giudizio e invita alla gentilezza. Un’educazione al corpo che potrebbe iniziare sin dall’infanzia, per imparare il rispetto dei limiti, il consenso, la cura dell’altro e di sé.
Dal teatro alla sala medica: la nudità come soglia
Anche nei contesti sanitari la nudità può essere difficile da abitare. Anche se necessaria, può portare disagio, vergogna, paura. Essere visti, osservati, toccati nel proprio corpo – anche se da un* professionista – può attivare vissuti complessi.
Per questo è importante che ogni nudità – artistica, sociale, medica, educativa – venga trattata con rispetto e responsabilità, considerando sempre chi abbiamo di fronte, le sue esperienze, la sua storia, le sue ferite.
Conclusioni
La nudità può essere strumento di trasformazione, gesto di libertà, ponte tra noi e l’altro. Ma solo se accompagnata da ascolto, sicurezza, consenso e contenimento. Altrimenti rischia di diventare un atto vuoto, invasivo, talvolta persino traumatico.
Il corpo è un alleato, non un ostacolo. E il suo valore non sta nell’essere esposto, ma nell’essere sentito, rispettato, abitato.
dott.ssa Elisabetta Gennaro

Mi chiamo Elisabetta Gennaro e lavoro come psicologa clinica e psicosessuologa, mi occupo di sessualità non convenzionale, taboo e comunicazione all’interno delle coppie, polecole, gruppi.
Collaboro attivamente con la comunità Kink e BDSM italiana e diverse comunità di sottoculture urbane, promuovendo un approccio gentile , inclusivo e sicuro. Mi occupo di divulgazione sessuale partecipando come speaker ad eventi, conferenze e talk. Cerca il mio podcast Sesso Taboo Educazione in streaming su Instagram, Spotify, Apple e Amazon Music